Tracciabilità alimentare e sanzioni, quali sono i principali rischi

Tracciabilità alimentare e sanzioni sono due temi che vanno spesso a braccetto. Tuttavia, sarebbe un errore pensare che gli operatori del mondo food and beverage rispettino protocolli di tracciabilità della filiera solo per evitare multe.

Anche perché, il problema non è (solo) l’importo della multa che si rischia (tutto sommato abbastanza contenuto) quanto la sicurezza dei consumatori e la qualità dei prodotti offerti.


Tracciabilità alimentare: quali sanzioni si rischiano

La normativa italiana in materia di tracciabilità alimentare e sanzioni, che recepisce il regolamento europeo, recita testualmente: “Salvo che il fatto costituisca reato, gli operatori del settore alimentare e dei mangimi che non adempiono agli obblighi di cui all'articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002 sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 750 euro a 4.500 euro. 

Ma cosa prevede l’articolo 18 del regolamento? In sostanza, la disciplina impone la rintracciabilità degli alimenti, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualunque altro ingrediente o sostanza utilizzati nelle fasi di:

  • produzione
  • trasformazione
  • distribuzione

 

Questo significa che gli operatori del settore alimentare (e dei mangimi) devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza che fa parte di quello che poi sarà il prodotto finito. 

Non è tutto: la norma specifica anche come deve avvenire questo processo di monitoraggio della rintracciabilità. Pur lasciando libertà di manovra alle aziende del settore agroalimentare, la legge prevede che queste debbano realizzare una serie di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti tutte le informazioni in ambito di tracciabilità alimentare. Ovvero le aziende devono “attrezzarsi” per individuare l’impresa dalla quale hanno ricevuto un determinato prodotto/ingrediente.

Infine, gli alimenti prodotti e commercializzati in ambito comunitario devono essere adeguatamente etichettati per agevolarne la rintracciabilità. 

L’etichettatura segue ulteriori norme: quella relativa alle carni, ad esempio, è disciplinata dal Regolamento CE n. 1760 del 2000, mentre quelle dei prodotti ortofrutticoli oppure ittici rispondono ad altre leggi.

In comune, tutte le etichette hanno l’intento di informare il consumatore non solo sui valori nutrizionali di un prodotto, ma anche sull’origine degli ingredienti utilizzati, su eventuali date di macellazione/pesca, sui dettagli dei lotti di produzione e le modalità di conservazione del prodotto alimentare stesso.


Lo standard ISO 2005

ISO 22005 è la certificazione che fornisce i principi generali e i requisiti di base per la progettazione e l’implementazione dei sistemi di rintracciabilità agroalimentare.

Lo scopo della certificazione di rintracciabilità della filiera agroalimentare è quello di rendere i processi aziendali maggiormente trasparenti e affidabili, aumentando, di conseguenza, anche la fiducia dei consumatori. 

Oltre a “documentare” la storia delle materie prime e dei semilavorati utilizzati per la realizzazione del prodotto alimentare finale, gli standard certificano le procedure aziendali per facilitare il ritiro o il richiamo dei propri prodotti dal mercato e identificare le parti responsabili all’interno della filiera agroalimentare.


Non solo multe: gli scandali alimentari

L’incipit della disciplina sanzionatoria che stabilisce i principi della legislazione in ambito di tracciabilità alimentare richiama anche un’altra eventualità: Salvo che il fatto costituisca reato”. 

Non è un dettaglio. Perché negli ultimi anni, purtroppo, le vicende di cronaca hanno fatto emergere, a livello europeo e mondiale, scandali alimentari dalle conseguenze molto serie.

Dai celebri esempi del vino sofisticato con il metanolo alla mucca pazza nei primi anni ‘90, dalle uova e i polli alla diossina, fino all’influenza aviaria e a tutta una serie di episodi meno eclatanti ma comunque gravi.

Ovviamente, per queste fattispecie non è prevista solo la multa ma si entra nel campo del diritto penale e i responsabili rischiano perfino la reclusione in carcere. 

Questi episodi però ci dimostrano ancora una volta come la tracciabilità della filiera nel mondo food and beverage sia prima di tutto una questione di sicurezza per i consumatori. E le recenti indagini sui mercati asiatici come possibile veicolo di contagio per l’infezione da covid-19, per quanto ancora in corso, dimostrano chiaramente come il rispetto delle norme igienico-sanitarie deve essere una priorità non solo italiana o europea, ma globale.


L’Autorità europea per la sicurezza alimentare EFSA

La stessa norma istituisce anche l’EFSA (European Food Safety Authority) ovvero l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Un ente sovranazionale istituito nel 2002 come fonte indipendente di consulenza scientifica e comunicazione sui rischi associati alla catena alimentare.

L’intento era chiaro: costituire un sistema in cui la responsabilità di valutare i rischi e quella di gestirli sono tenute separate. 

Tracciabilità alimentare e sanzioni è, dunque, un tema sempre più centrale per tutte quelle aziende del mondo food and beverage che vogliono essere compliant in un quadro normativo sempre più complesso ed esigente.


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